Stefania Baldassari

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A proposito di TFR

A cura di Stefania Baldassari

L’art. 12 bis, L. 898/1970 prescrive testualmente che “il coniuge nei cui confronti sia stata pronunciata sentenza di scioglimento o di cessazione degli effetti civili del matrimonio ha diritto, se non passato a nuove nozze e in quanto sia titolare di assegno ai sensi dell’articolo 5, ad una percentuale dell’indennità di fine rapporto percepita dall’altro coniuge all’atto della cessazione del rapporto di lavoro anche se l’indennità viene a maturare dopo la sentenza. Tale percentuale è pari al quaranta per cento dell’indennità totale riferibile agli anni in cui il rapporto di lavoro è coinciso con il matrimonio”.

Con la cessazione definitiva della propria attività lavorativa, ogni lavoratore matura il diritto di ricevere dal datore di lavoro il trattamento di fine rapporto (TFR).

Nel caso in cui il lavoratore sia stato sposato, la legge attribuisce anche all’ex coniuge (v. art. 12 bis, L. 898/1970) il diritto di percepire una percentuale sul  TFR., diritto tuttavia riconosciuto in quanto ricorrano alcune condizioni.

CONDIZIONI PER OTTENERE LA QUOTA DI TFR

Le condizioni richieste per ottenere il riconoscimento della quota di TFR sono due:

1)      i coniugi devono essere divorziati: non è quindi sufficiente che essi abbiano ottenuto la sola separazione personale (consensuale o giudiziale);

2)      Al coniuge divorziato deve essere riconosciuto un assegno divorzile percepito con cadenza periodica. Nel caso in cui non sia riconosciuto alcun diritto al percepimento dell’assegno o, lo abbia ricevuto in un’unica soluzione,  non avrà diritto alla quota di TFR;

3)      Il coniuge richiedente non deve essere passato a nuove nozze; mentre è indifferente che il coniuge obbligato si sia risposato o abbia avuto figli dal nuovo matrimonio.

E SE IL CONIUGE OBBLIGATO HA PERCEPITO DEGLI ACCONTI?

In questo caso se il lavoratore, prima della cessazione del rapporto di lavoro, ha ottenuto degli acconti sulla liquidazione, la quota spettante all’ex coniuge richiedente andrà calcolata al netto degli anticipi richiesti ed ottenuti dallo stesso durante il matrimonio (compreso il periodo di separazione). Ciò in quanto l’anticipo, una volta accordato dal datore di lavoro e riscosso dal lavoratore, entra nel suo patrimonio personale e non può essere revocato. In tal caso è inevitabile che la quota spettante al richiedente sia inferiore a quella che gli sarebbe stata riconosciuta se non ci fossero state anticipazioni.

QUAL E’ LA PERCENTUALE DI LIQUIDAZIONE?

 La percentuale di TFR riconosciuta al coniuge richiedente dall’art. 12 bis L 898/70 è pari al 40% “dell’indennità totale riferibile agli anni in cui il rapporto di lavoro è coinciso con il matrimonio”. Il periodo va quindi calcolato tenendo conto anche del tempo in cui si è svolto il procedimento di separazione fino alla sentenza di divorzio.

 E SE LA LIQUIDAZIONE DEL TFR VIENE PERCEPITA DURANTE LA SEPARAZIONE?

In questo caso, se da un  lato durante il periodo di separazione il coniuge  non matura il diritto al TFR, essendo per legge richiesta la pronuncia di una sentenza definitiva di divorzio, dall’altro lato egli può chiedere al giudice di tenerne conto nella quantificazione dell’assegno di mantenimento, o, successivamente, potrà proporre apposita domanda di aumento dell’assegno mediante il procedimento di modifica delle condizioni di separazione.

COSA BISOGNA FARE PER OTTENERE LA PERCENTUALE DI TFR?

Occorre farsi assistere da un avvocato che presenterà un’apposita domanda (ricorso) al Tribunale competente con la quale chiederà  che il giudice disponga a favore del coniuge l’attribuzione della quota percentuale dell’indennità di fine rapporto dovuta, mediante l’ ordine rivolto al datore di lavoro e per esso all’Ente previdenziale pagatore, di effettuare il pagamento della percentuale tenendo conto, nei parametri di calcolo, del periodo in cui il matrimonio è coinciso con il rapporto di lavoro, e quindi della data di assunzione dell’ex coniuge lavoratore e della data della sentenza.

COSA BISOGNA FARE PER OTTENERE LA QUOTA DI TFR PRIMA CHE IL CONIUGE LA SOTTRAGGA A PROPRIO FAVORE?

Dato che come già detto non vi è un sistema di attribuzione automatica del TFR, e visto che non è così improbabile che il coniuge obbligato sottragga la quota a lui spettante, una volta che si è venuti a conoscenza del fatto che l’altro abbia cessato il rapporto di lavoro (e quindi maturato il diritto alla liquidazione), si potrà presentare, contestualmente alla domanda di liquidazione anche una  richiesta di sequestro conservativo dell’indennità di fine rapporto dovuta all’ex, limitatamente alla quota di spettanza.


Coppie gay: il via all’adozione

Stefania Baldassari

Il Tribunale dei minori di Firenze, con decreto 7.03.2017, ha accolto la richiesta formulata da una coppia gay di riconoscimento di adozione di due bambini, fra loro fratelli, già accordata dal Tribunale britannico.

La decisione del Tribunale dei minorenni di Firenze, che ha riguardato un tipo di situazione diverso rispetto alla cosiddetta stepchild adoption, cioè la possibilità che il genitore non biologico della coppia adotti il figlio, naturale o adottivo, del partner, si è fondata sul principio posto dall’art. art. 36, comma 4, L. 184/83, secondo il quale “I cittadini italiani residenti all’estero da almeno due anni possono adottare secondo le procedure del Paese di residenza e poi chiedere il riconoscimento in Italia”, in conformità ai principi posti dalla Convenzione dell’Aja del 29.05.1993 in materia di tutela dei minori.

Nell’affrontare il “capitolo” dell’interesse superiore del minore, il Tribunale ha anche chiarito che deve essere salvaguardato il diritto dei minori a conservare lo status di figlio riconosciutogli da un atto validamente formato in un altro Paese dell’Unione Europea: il mancato riconoscimento in Italia del rapporto di filiazione esistente nel Regno Unito determinerebbe una “incertezza giuridica” che influirebbe negativamente sulla definizione dell’identità personale dei minori.

 


Unioni civili e convivenze di fatto: punti essenziali

Domenica 5 giugno entrerà ufficialmente in vigore una delle leggi più attese degli ultimi anni con il nome della relatrice di Palazzo Madama , la senatrice Monica Cirinnà, contraddistinta con il numero 76/2016, che regolamenterà le unioni civili e le convivenze di fatto.

 Le unioni civili

L’unione fra persone dello stesso sesso, si costituisce attraverso una dichiarazione di fronte all’ufficiale di stato civile in presenza di due testimoni.

La formalità sta nella redazione da parte dell’incaricato di un certificato che dovrà contenere i dati anagrafici delle parti, il regime patrimoniale scelto e la residenza comune.

Tale documento dovrà essere poi registrato nell’archivio di stato civile.

Un importante riconoscimento viene esteso alle parti dell’unione che  acquisiranno diritti, ma anche doveri in gran parte assimilabili a quelli dei coniugi, in caso di malattia, ricovero, detenzione o morte.

In quest’ultimo caso, infatti, al partner superstite viene riconosciuto il diritto alla pensione di reversibilità, all’eredità nella stessa quota prevista per il coniuge, e alla liquidazione del TFR.

I partners hanno l’obbligo di assistenza morale e materiale, di coabitazione e collaborazione,  mentre viene escluso l’obbligo di fedeltà previsto per i coniugi.

Il regime patrimoniale sarà quello della comunione dei beni a meno che non si opti per la separazione.

Quando finisce l’amore sarà sufficiente rivolgersi all’ufficiale di stato civile per chiedere lo scioglimento dell’unione e poi il divorzio che si potrà ottenere in via giudiziale , con la negoziazione assistita o con un accordo avanti l’ufficiale di stato civile.

 

Le convivenze di fatto

Cambiano le regole anche per chi decide di convivere.

La legge Cirinnà prevede la possibilità per i conviventi  di regolare i  rapporti economici e patrimoniali con un contratto di convivenza, che dovrà essere redatto da un avvocato o da un notaio per iscritto nella forma dell’atto pubblico o della scrittura privata autenticata

Il professionista incaricato  non dovrà soltanto provvedere all’autentica delle firme delle parti, ma dovrà, in base alla propria esperienza e professionalità, essere di aiuto nella realizzazione dell’accordo.

L’avvocato, o il notaio, deve verificare che l’accordo sia lecito e conforme alle norme imperative e all’ordine pubblico e per questo è fondamentale l’intervento di un  professionista competente che segua fin dall’inizio, in tutte le fasi, le parti che intendono regolamentare formalmente il proprio accordo.

Il professionista è chiamato a farsi partecipe dei diversi intendimenti delle parti, dispensando consigli e dando tutte le informazioni necessarie per far sì che l’accordo così stipulato possa tutelare gli interessi di entrambi i partners in modo inequivocabile e imparziale.

Il ruolo dell’avvocato, così come del notaio è fondamentale anche in caso di risoluzione del contratto dal quale è possibile recedere unilateralmente mediante dichiarazione autenticata ricevuta dal professionista.


Unioni Civili e Convivenza di fatto: novità

Unioni civili per punti

Le unioni civili sono giunte al  tanto agognato traguardo con l’approvazione definitiva del  ddl Cirinnà.

Con 372 voti favorevoli contro i 51 negativi e 99 astensioni la Camera ha dato il via libera alla legge che regolamenta le unioni civili tra persone dello stesso sesso e disciplina i rapporti di convivenza fra etero e omossessuali.

La legge che reca il titolo “Regolamentazione delle unioni civili tra persone dello stesso sesso e disciplina delle convivenze”  rappresenta una delle più grandi riforme del diritto di famiglia dal 1975 ad oggi; una legge  che modifica il diritto di famiglia italiano non soltanto dal punto di vista procedurale ma anche per gli aspetti pratici.

Senza entrare nel merito delle varie voci che si sono levate in opposizione e protesta ciò qui interessa è la disamina dei principali elementi che contraddistinguono la legge Cirinnà sulle unioni civili e sulla convivenza.

1)      Primo aspetto è l’individuazione dell’istituto delle unioni civili tra due persone maggiorenni dello stesso sesso nell’ambito delle cd. formazioni sociali specifiche. Si è cercato in questo modo di evitare qualsiasi fraintendimento con l’istituto del matrimonio, anche se tali unioni sono caratterizzate dal riconoscimento di diritti e doveri molto simili a quelli vigenti in materia familiare.

2)      L’unione si può costituire mediante dichiarazione resa di fronte all’ufficiale di stato civile alla presenza di due testimoni e successiva registrazione degli atti nell’apposito archivio dello stato civile.

3)      Le cause impeditive all’unione sono:

a)      la sussistenza di precedente vincolo matrimoniale di una delle parti

b)      legami di parentela tra le parti

c)      l’omicidio o il tentato omicidio nei confronti di un precedente coniuge o membro di un’unione civile.

4)      Le parti possono decidere di assumere, per la durata dell’unione, un cognome comune scegliendolo tra i loro cognomi e decidendo di anteporre o posporre al cognome comune il proprio cognome.

5)      Con l’unione  le parti possono concordare l’indirizzo della vita familiare fissando una residenza comune. Esse acquistando gli stessi diritti ed assumendo i medesimi doveri, sanciti per il matrimonio, hanno l’obbligo reciproco dell’assistenza morale e materiale e della coabitazione, mentre a viene bandito l’obbligo di fedeltà reciproca.

6)      Ognuno deve contribuire ai bisogni comuni in relazione alle proprie sostanze e alla propria capacità di lavoro professionale e casalingo.

7)      Il regime patrimoniale dell’unione è la comunione dei beni, salvo che non venga scelta la separazione.

8)      Con lo scioglimento dell’unione la legge fa riferimento a buona parte delle norme previste in materia di divorzio, ivi compresa la negoziazione assistita. In particolare in caso di rottura della relazione basterà per le parti manifestare, anche disgiuntamente, la volontà di separarsi davanti all’ufficiale di stato civile.

9)      In caso di mutamento del sesso l’unione gay viene sciolta, così come in caso di cambio di genere all’interno di una coppia sposata il matrimonio viene sciolto automaticamente e trasformato in unione civile.

10)  Viene riconosciuta al partner dell’unione la pensione di reversibilità e il TFR maturato dall’altra parte. Per la successione valgono le norme in vigore per il matrimonio. Al partner superstite spetta la legittima mentre il restante va agli eventuali figli.  LA

Convivenza di fatto per punti

Il medesimo art.1 della legge appena approvata prevede al comma 36 e ss. la regolamentazione delle coppie di fatto.

1)   Si intendono tali quelle costituite tra due persone maggiorenni eterosessuali o omosessuali stabilmente unite da rapporti affettivi di coppia, coabitanti ed aventi dimora abituale nello stesso comune, con reciproca assistenza morale e materiale, non vincolate da rapporti di parentela, affinità o adozione, da matrimonio a da un’unione civile.

2)    I conviventi di fatto possono disciplinare i rapporti patrimoniali con un contratto di convivenza redatto in forma scritta a pena di nullità, con atto pubblico o scrittura privata con sottoscrizione autenticata da un notaio o da un avvocato. Il contenuto di tale contratto può essere esteso all’indicazione della residenza, alle modalità di contribuzione, alla necessità della vita in comun,e al regime patrimoniale della comunione dei beni, opzione questa sempre modificabile.

3)    Il contratto di convivenza si risolve per morte del partner, per recesso unilaterale o per accordo tra le parti con conseguente scioglimento della comunione dei beni.

4)   In presenza di figli vigono le stesse norme previste nella separazione personale dei coniugi. Sarà quindi il giudice a pronunciarsi in ordine all’affido, mantenimento e al diritto di visita.

5)   In caso di cessazione della convivenza, qualora il convivente versi in stato di bisogno e non sia in grado di provvedere al proprio mantenimento, il giudice stabilisce il diritto di ricevere gli alimenti. Spetta sempre al giudice determinare la misura e la durata dell’obbligo che sarà proporzionale alla durata della convivenza.

6)   Il convivente può inoltre essere nominato tutore, curatore o amministratore di sostegno qualora l’altra parte sia dichiarata interdetta o inabilitata. In caso di malattia e di conseguente impossibilità ad attendere alle proprie ordinarie attività, potrà essere il convivente chiamato a prendere le decisioni più importanti per la cura e la salute del partner, così come potrà essere nominato suo rappresentante con pieni poteri anche in caso di morte  sia per la donazione di organi, le modalità di trattamento del corpo e le celebrazioni funerarie. Come fra i coniugi anche in questo caso viene garantita l’assistenza in carcere del partner sottoposto a pena detentiva.

7)    Con la morte del convivente proprietario della casa di abitazione il superstite ha diritto di continuare ad abitare nella stessa per due anni o per un periodo pari alla convivenza se superiore a due anni e comunque non oltre i cinque anni. In caso di morte del conduttore o di suo recesso dal contratto di locazione della casa di comune residenza, il convivente di fatto ha facoltà di succedergli nel contratto.

 

 

 

 

 

 

 


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