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Il figlio in tenera età può essere accudito anche dal padre

Non vi sono ormai più dubbi. Anche il padre ha lo stesso diritto della madre di accudire il figlio minore in tenera età, in quanto secondo il Tribunale di Milano (sez. IX decreto 14.01.2015) le competenze si acquisiscono e si accrescono solo con la pratica e dunque solo esercitando il ruolo genitoriale una figura matura e affina le proprie competenze.

Non solo.  Limitare i rapporti genitoriali in ragione dell’incapacità del genitore di accudire un figlio in  tenera età è conseguenza di un pregiudizio non avvalorato da alcun  riscontro oggettivo, che sottolinea una diversità nel rapporto genitoriale.

Per questo motivo la regolamentazione dei tempi e delle modalità da attuare nell’affidamento condiviso, prescindendo dal caso di figli nati in costanza di matrimonio o al di fuori di esso, deve essere strutturato in modo tale da garantire tempi di permanenza equamente suddivisi fra i genitori, in modo da consentire anche al padre di stabilire un consolidamento dei rapporti con il proprio figlio.

La fattispecie esamina il caso di due genitori di una bimba di due anni nata  a seguito di una relazione affettiva fra gli stessi intercorsa, ma  giunta al termine, in cui la madre si rivolgeva al Tribunale affinché, vista l’incomunicabilità con l’altro genitore, disponesse la regolamentazione giudiziale dei rapporti genitoriali.

Preliminarmente il Tribunale di Milano riteneva che anche nel caso della regolamentazione dell’affidamento dei figli nati fuori dal matrimonio, che si svolge con il rito camerale di cui all’art. 737 e ss. c.p.c. ,  si debbano assumere provvedimenti provvisori e urgenti al pari di quanto previsto nel caso dei procedimenti di separazione e divorzio, al fine di rispondere “all’esigenza di approntare per il minore un assetto di vita tutelante e rispettoso dei suoi bisogni primari in vista di statuizioni definitive”.

Proprio la natura cautelare  di tali provvedimenti riconosciuta dalle Sezioni Unite (Cass. S.U. 26.04.2013, n. 10064) evidenzia l’esigenza di evitare che la durata del processo si risolva in un pregiudizio per il minore.

Preso atto di ciò il Tribunale di Milano si pronunciava in ordine all’affidamento condiviso della minore, prevedendo il collocamento prevalente della stessa presso la madre, ma stabilendo tuttavia tempi di permanenza presso il padre adeguatamente strutturati in base alle esigenze della famiglia e all’interesse della minore, al fine di poter consentire alla stessa di trascorrere con il padre (genitore non collocatario) “dei tempi adeguati e segnatamente dei fine settimana interi, e tempi infrasettimanali, garantendo una certa continuità di vita in questi periodi”.

Nel ribadire l’importanza della lineare consequenzialità dei rapporti fra padre e figlia, il giudice ha soltanto puntualizzato che una sensibile limitazione a tale diritto può trovare giustificazione solo quando vi sia la dimostrazione che da tale perpetuarsi di rapporti con il genitore possa derivare una serio pregiudizio al minore: situazione, questa, non riscontrata nella fattispecie in esame.

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I genitori litigano sulla scelta della scuola? Decide il giudice

 

Quando i genitori litigano sulla scelta della scuola interviene il giudice che stabilisce se il minore deve essere iscritto in una scuola pubblica o privata.

Ciò è quanto è successo ad una coppia che si era divisa entrando in conflitto sulla necessità di iscrivere la figlia ad una scuola privata, come sostenuto dalla madre, o in una  pubblica, come voluto dal padre.

Il giudice per dirimere la controversia scoppiata tra i genitori divorziati, ha scelto per la bambina la scuola statale.

Il fatto è il seguente.

La minore, figlia di genitori divorziati, frequentava una scuola privata che comportava consistenti esborsi annuali, dapprima sostenuti di comune accordo dai genitori, ma poi rivelatisi particolarmente esosi per il padre e non giustificati dalla scarsa preparazione scolastica ottenuta dalla figlia negli anni precedenti.

Ottenuta la licenza elementare in tale istituto e dovendo provvedere all’iscrizione della bambina  per l’anno scolastico 2015/2016, il padre si era opposto ad attuare tale soluzione, contrariamente alle pretese della madre.

Il Tribunale di Milano, IX Sezione,  con decreto  del 4.2.2015 si pronunciava al riguardo chiarendo esplicitamente il ruolo del Giudice  nel caso di contrasto tra i genitori su decisioni di maggiore interesse per il minore, delineando la sfera applicativa dell’art. 709 ter c.p.c anziché dell’art. 316 c.c.

Secondo l’organo giudicante tale applicazione normativa (art. 709 ter c.p.c.) trova pieno sostegno nel caso di specie in quanto rappresenta l’unico riferimento applicabile in caso di contrasto tra i genitori nell’esecuzione di una  scelta molto importante  nell’interesse del minore, quando tra i genitori via sia una conclamata situazione di separazione o, come nel caso in esame, di cessazione del vincolo coniugale per intervenuto divorzio.

In tal  modo, il Tribunale adito, esclude il richiamo all’art. 316 c.c., applicabile solo allorquando si tratti di porre rimedio a un contrasto insorto fra i genitori quando il nucleo familiare non è ancora disgregato.

A mente dell’art. 709 ter c.p.c. il Tribunale non è chiamato ad individuare il genitore che meglio può rappresentare gli interessi del minore, bensì a procedere direttamente alla decisione che meglio  tutela gli interessi dello stesso.

Così, il Tribunale di Milano ha espresso la propria preferenza a favore dell’istruzione pubblica, secondo i canoni dall’ordinamento riconosciuti come idonei alla sviluppo culturale di qualsiasi soggetto minore residente sul territorio.

D’altro canto come sostenuto dalla Cass. 2012/10174, l’iscrizione scolastica così come la scelta dell’istituto di riferimento deve essere operata di comune accordo fra i genitori e, ove manchi tale scelta, viene rimessa al Tribunale ordinario, che in linea di principio dà la sua preferenza e prevalenza alle istituzioni scolastiche pubbliche, limitando il riferimento alle istituzioni private solo “là dove emergano elementi precisi e di dettaglio per accertare un concreto interesse effettivo dei figli a frequentare una scuola diversa da quella pubblica”.

Motivatamente il Giudice ritiene che la frequentazione del prestigioso istituto scolastico privato di impostazione internazionale richiesto dalla madre, potrebbe condizionare le scelte dell’istituto superiore “in quanto non sarebbe più la bambina in grado di inserirsi con parità di dotazione culturale e preparazione”.

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