Mantenimento

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Mantenimento coniuge

Il secondo comma dell’art. 143 c.c. dispone che “entrambi i coniugi sono tenuti, ciascuno in relazione alle proprie sostanze e alla propria capacità di lavoro professionale o casalingo, a contribuire ai bisogni della famiglia”.

Si tratta di un dovere inderogabile, riconducibile al concetto di solidarietà coniugale, strettamente connesso al buon andamento del ménage familiare.

Ma cosa succede quando il rapporto coniugale si infrange e si intraprende la via della separazione personale?

Senza dubbio la separazione dei coniugi produce una forte incidenza sul regime patrimoniale della famiglia e pertanto i diritti di contenuto economico spettanti ai coniugi non si estinguono né si sospendono.

L’obbligo di assistenza si concretizza mediante la corresponsione di una somma di denaro che prende il nome di assegno di mantenimento.

Condizioni per ottenere l’assegno di mantenimento e sua quantificazione

L’art. 156 c.c. detta le condizioni per ottenere l’assegno di mantenimento che possono essere così riassunte:

  1. non addebitabilità della separazione al coniuge a cui favore viene disposto il mantenimento;
  2. mancanza di adeguati redditi propri del coniuge beneficiario;
  3. sussistenza di una disparità economica tra i due coniugi.

Persistendo queste condizioni,  la quantificazione dell’assegno deve essere diretta a garantire al coniuge più debole il mantenimento del tenore di vita goduto in costanza di matrimonio.

Il criterio, porta a realizzare un’indagine circa l’adeguatezza dei mezzi a disposizione dell’istante(Cass. 9.10.2007, n. 21097) da valutare in rapporto alla pregressa posizione economica e sociale, per giungere ad una valutazione di carattere relativo, che trova il proprio parametro nel contesto nel quale i due coniugi hanno vissuto durante il matrimonio.

E’ importante giungere ad una valutazione qualitativa e quantitativa dei bisogni emergenti del richiedente, che va ben al di là della sola verifica della consistenza dei redditi del coniuge tenuto al versamento.

E’ altrettanto pacifico in giurisprudenza che ai fini dell’accertamento di tale elemento va presa in considerazione la situazione patrimoniale complessiva del soggetto, comprensiva non solo dei redditi in senso stretto, ma anche dei cespiti di cui egli abbia il diretto godimento e di ogni altra utilita’ suscettibile di valutazione economica (Cass. 29.11.1990, n. 11523; Cass. 2.7.1990, n. 6774 ).

Va da sé che in presenza di un’equivalenza o affinità di condizioni economiche non si può imporre all’uno di corrispondere all’altro alcunché (Trib. Roma 17.07.2009).

 

Non addebitabilità della separazione.

Una delle condizioni in presenza della quale è prevista la corresponsione dell’assegno di mantenimento è la non addebitalità della separazione.

Di rimando tale obbligo grava sul coniuge cui è addebitata la separazione.

Tuttavia, in caso di separazione senza addebito tale obbligo dovrà essere rispettato dal coniuge considerato economicamente più forte.

L’accertamento della rilevanza dei comportamenti addebitabili viene rimandata al giudice, che deve esaminare gli elementi che conducono a tale  pronuncia mediante la verifica dell’esistenza di un comportamento trasgressivo di uno o di entrambi i coniugi e la conseguente rilevanza di un nesso di causalità tra la condotta tenuta dal coniuge e l’intollerabilità della convivenza.

 

Corresponsione dell’assegno di mantenimento nel caso di addebitabilità della separazione ad entrambi i coniugi.

Se non esistono dubbi circa l’obbligo del coniuge cui sia stata addebitata la separazione di corrispondere all’altro, privo di adeguati redditi propri, l’assegno di mantenimento, cosa succede quando la separazione viene addebitata ad entrambi i coniugi?

La Corte di Cassazione, ha previsto che il concorso di responsabilità dei coniugi nella causazione dello stato di separazione, è fatto di per sé rilevante ai fini della esclusione del diritto al mantenimento.

Pertanto, anche il coniuge economicamente più debole perde il diritto al mantenimento, seppure abbia inciso con minor rilevanza causale nella crisi dell’unione coniugale (Cass. 24/2/2006, n. 4204).

E’, infatti, pacifico che una volta addebitata la separazione ad entrambi i coniugi vengono a mancare i presupposti su cui si fonda il corrispondente obbligo di mantenimento che, come detto, viene garantito solo a favore del coniuge incolpevole.

 

 L’assenza di adeguati redditi propri.

Un’altra condizione per ottenere l’assegno di mantenimento è  la mancanza di redditi propri.

Il coniuge avrà diritto all’assegno di mantenimento non solo allorché sia privo di reddito, ma anche allorché sussista una rilevante disparità economica tra le parti (è frequente il caso della donna che dovendo provvedere anche alla famiglia, preferisca un lavoro part-time con un reddito dimezzato, mentre il marito, libero di dedicarsi alla carriera, giunge a redditi doppi o tripli rispetto a quelli della moglie).

Ai fini della valutazione della adeguatezza dei redditi del soggetto che invoca l’assegno, il parametro di riferimento, secondo le decisioni più recenti della Cassazione, è costituito dalle potenzialità economiche complessive dei coniugi durante il matrimonio, intese quale elemento condizionante della qualità delle esigenze e l’entità delle aspettative del richiedente.

 

 Il tenore di vita.

Il tenore di vita cui si fa riferimento è quello offerto dalle potenzialità economiche dei coniugi durante il matrimonio, e mira ad assicurare al coniuge beneficiario la continuazione del medesimo stile di vita già goduto.

Tuttavia la valutazione deve essere condotta esaminando nello specifico ogni singola realtà alla luce anche delle nuova situazione che si è venuta a creare.

Nel caso della separazione, infatti, i coniugi si troveranno ad affrontare sistemi di vita diversi che imporranno spese prima non esistenti.

Basti pensare alla necessità, per il coniuge non assegnatario della casa coniugale, di trovare una diversa sistemazione che lo porterà ad affrontare nuove spese, quali l’affitto e le spese ad esso connesse.

La sensibile riduzione reddituale porta quindi inevitabilmente ad una diminuzione economica che non può non incidere sulla valutazione dell’assegno di mantenimento.

 

 

 La valenza degli accordi presi durante il matrimonio.

Un altro aspetto rilevante nella valutazione del tenore di vita punta sugli accordi presi dai coniugi riguardo all’indirizzo della vita familiare al momento del matrimonio.

Detti accordi si concretizzano nel potere di ciascuno di compiere scelte singole e concrete nell’ambito dell’indirizzo concordato, con la predisposizione di un  programma o di un modello di carattere generale, che necessita poi di concrete puntualizzazioni, di scelte e decisioni specifiche.

L’efficacia degli accordi intercorsi fra i coniugi durante il matrimonio permane anche dopo la separazione, in quanto si instaura un regime che tende a conservare il più possibile tutti gli effetti propri del matrimonio e quindi anche il tenore di vita concordato dai coniugi.

Così, se i coniugi avevano convenuto di lavorare entrambi, e così hanno fatto fino al momento del manifestarsi del conflitto coniugale, non può uno di essi legittimamente rifiutarsi di continuare a lavorare solo perché si è separato.

Se, invece, uno di essi col consenso dell’altro -consenso che non richiede una particolare forma e che può desumersi per implicito- ha cessato di svolgere l’attività lavorativa per una qualsiasi ragione ritenuta apprezzabile nell’interesse della famiglia, il dovere di riprenderla, durante la separazione coniugale, è subordinato alla possibilità concreta di ricominciare un’identica o similare attività lavorativa.

 

 

 Le ristrettezze economiche imposte dal coniuge non incidono sulla valutazione del tenore di vita.

Il tenore di vita che il coniuge separato ha diritto di mantenere, non è quello di fatto consentitogli dall’altro coniuge durante il matrimonio, ma quello che lo stesso avrebbe dovuto garantirgli in base alle sue sostanze.

Pertanto se uno dei coniugi, pur avendone le possibilità, si sottrae a tale suo dovere, facendo vivere l’altro in ristrettezze o, comunque, non assicurandogli un tenore di vita corrispondente a quello che ragionevolmente potrebbe permettere a se’ e alla famiglia, l’altro coniuge, una volta separatosi, può pretendere per il proprio mantenimento un assegno proporzionato alla posizione economica del coniuge obbligato, indipendentemente dal tenore di vita tollerato prima della separazione (Cass. 18.8.1994, n. 7437).

 

La rilevanza delle elargizioni compiute dai parenti

Altro aspetto rilevante ai fini della determinazione dell’assegno, è l’eventualità che il coniuge che richiede il mantenimento percepisca elargizioni ed aiuti economici da parte dei parenti.

Come si è più volte detto il diritto al mantenimento a seguito di separazione personale sorge, in favore del coniuge al quale questa non sia addebitabile, ove egli non fruisca di redditi che gli consentano di mantenere un tenore di vita analogo a quello che aveva durante il matrimonio.

Una volte verificata la sussistenza di tali presupposti, il giudice dovrà esaminare comparativamente la situazione dei coniugi e – ove questa lo consenta – liquiderà l’assegno “in relazione alle circostanze ed ai redditi dell’obbligato”.  Nel valutare il presupposto, sopra indicato, della mancata fruizione di redditi che al coniuge separato consentano di mantenere un tenore di vita analogo a quello che aveva durante il matrimonio, il giudice dovrà tenere conto di ogni tipo di reddito disponibile da parte del richiedente, ivi compresi quelli derivanti da elargizioni da parte di familiari che erano in corso durante il matrimonio e si protraggono in regime di separazione con carattere di regolarità e continuità tali da influire in maniera stabile e certa sul tenore di vita dell’interessato, riconnettendosi ad un regime dell’economia familiare impostato su di essi con carattere di normalità già prima della separazione (Cass. 26.6.1996, n. 5916).

 

L’adeguamento dell’assegno di mantenimento agli indici ISTAT.

L’assegno di mantenimento è soggetto ad adeguamento automatico con riferimento agli indici Istat

La previsione di un adeguamento dell’assegno già prevista dalla legge sul divorzio n. 74/1987, ha trovato applicazione analogica alla separazione, consentendo  al coniuge separato di chiedere un aumento del contributo al mantenimento proporzionale al costo della vita (Cass. Cass. 28.12.1995, n. 13131; Cass. 30.3.1994, n. 3153; Cass. 2.3.1994, n. 2051, GI, 1995, I, 1, 286).

Questa esigenza che trova puntuale riscontro in giurisprudenza (Cass. 16.10.1991, n. 10901, GCM, 1991, fsc. 10; App. Brescia 20.1.1990, GC, 1990, I, 824) considera il riferimento agli indici di svalutazione monetaria il <<criterio minimo di adeguamento garantito, restando al giudice un ampio potere di scelta, in relazione alla peculiarità della fattispecie, tra gli altri possibili criteri, in modo da rapportare l’interesse del beneficiario ad una totale conservazione del potere di acquisto dell’assegno, nonché al grado di elasticità dei redditi del soggetto obbligato>> (Cass. 7.8.1993, n. 8570, MGI, 1993, 807).

La Suprema Corte ha precisato che la mancata richiesta dell’aggiornamento ISTAT nella domanda, non annulla il diritto del coniuge ad ottenere ugualmente l’adeguamento automatico; ciò in forza del potere discrezionale riconosciuto al giudice che in tale ambito può procedere anche indipendentemente da apposita domanda, trattandosi di una pretesa già racchiusa nell’istanza di corresponsione del contributo (Cass. 4.2.2000, n. 1226).

La corresponsione in un’unica soluzione dell’assegno di mantenimento.

La corresponsione dell’assegno può avvenire anche in un’unica soluzione.

L’ammissibilità di tale scelta  è condizionata all’accordo in tal senso intervenuto fra le parti nel corso del giudizio di separazione, essendo il dovere di mantenimento strettamente legato al naturale adempimento periodico.

Tale accordo, pur non essendo vincolante per il giudice -che deve decidere nel senso ritenuto più vicino agli interessi dei coniugi- tuttavia costituisce un ausilio per la formazione della pronuncia giudiziaria, fornendo una visione completa delle aspettative dei coniugi.

Tale scelta però  non tutela appieno gli interessi delle parti in quanto il rischio economico connesso alla sopravvenienza di situazioni che rendano l’attribuzione inadeguata, in difetto o in eccesso, è pressoché imprevedibile.

Infatti l’adempimento definitivo in un’unica soluzione della prestazione di mantenimento implica una difficile ed in ogni caso azzardata previsione delle future vicende economiche dei coniugi separati, prospettando così una difficoltà non secondaria e certamente non registrabile nel caso, invece, di una somministrazione periodica (e quindi rivedibile) della medesima prestazione.

Pertanto esiste la possibilità per il coniuge che ha accettato la liquidazione unica, di poter chiedere successivamente un’integrazione della prestazione, dimostrando il mutamento delle condizioni dell’obbligato e la conseguente posizione di svantaggio in cui lo stesso è venuto a trovarsi.

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