Mantenimento

Mantenimento figli Avvocato Separazione

Mantenimento figli

La quantificazione  dell’assegno di mantenimento per la prole costituisce il nodo centrale nella gestione della separazione personale fra i coniugi.
Non esistono tariffari di riferimento o criteri matematici certi per stabilire l’entità dell’assegno, anche se si suole fare riferimento ad alcuni orientamenti giurisprudenziali che costituiscono la base di partenza per operare il calcolo.

In via preliminare si deve osservare che l’obbligo di mantenimento, e quindi l’obbligo di pagamento delle relative spese, verso i figli si collega strettamente al rapporto di filiazione e permane fino alla cessazione di siffatto rapporto (ad esempio l’adozione del figlio da parte di terzi), oppure fino al raggiungimento di una condizione di autosufficienza economica da parte dei figli anche oltre il raggiungimento della maggiore età, finchè il genitore non fornisca la prova della raggiunta indipendenza economica.

L’art. 155 c.c.  afferma che salvo accordi diversi liberamente sottoscritti dalle parti, ciascuno dei genitori provvede al mantenimento dei figli in misura proporzionale al proprio reddito; il giudice stabilisce, ove necessario, la corresponsione di un assegno periodico al fine di realizzare il principio di proporzionalità,da determinare considerando:
le attuali esigenze dei figli;
il tenore di vita goduto dal figlio in costanza di convivenza con entrambi i genitori;
– i tempi di permanenza presso ciascun genitore;
le risorse economiche di entrambi i genitori;
la valenza economica dei compiti domestici e di cura assunti da ciascun genitore.
L’assegno è automaticamente adeguato agli indici ISTAT, in difetto di altro parametro indicato dalle parti o dal giudice.

La determinazione di tale assegno crea notevoli problemi e l’acuirsi della già presente conflittualità coniugale proprio in ragione delle modalità di affidamento stabilito e ai tempi di permanenza dei figli presso l’uno o l’altro genitore.

Con l’affidamento condiviso, accade molto di frequente che i figli passino alcuni periodi, più o meno lunghi presso il genitore non affidatario, che in questo caso dovrà sobbarcarsi anche le ulteriori spese di mantenimento necessarie.

Nella determinazione dell’assegno, pertanto,  occorre tenere conto di un insieme di circostanze che oltre alla redittività dei singoli e al tenore di vita goduto prenda in esame, caso per caso, l’impegno che ogni genitore deve assumere per svolgere appieno il proprio ruolo.

Viene in rilievo il differente modo contributivo che a volere della l. di riforma del 2006 privilegiava un sistema di mantenimento diretto del figlio (soddisfazione immediata  dei bisogni e delle necessità della prole) a discapito di un mantenimento indiretto  (corresponsione di un assegno periodico).

Nonostante tale previsione tuttavia è prassi comune prevedere una corresponsione periodica da quantificarsi in base ai criteri stabiliti dall’art. 155 c.c., conferendo quindi al giudice un’ampia discrezionalità sempre con riferimento all’interesse morale e materiale dei minori (Cass. 785/2012).

Criterio di determinazione dell’assegno

Ai fini della determinazione dell’assegno periodico, l’art. 155 c.c. attribuisce particolare preminenza al criterio delle “esigenze attuali del figlio” e al “tenore di vita goduto in costanza di convivenza con entrambi i genitori”.

Tali parametri di riferimento pongono in primo piano il preminente interesse del figlio a vedersi tutelato non soltanto da un  punto di vista materiale, ma anche morale.

Ciò che rileva infatti è la valutazione concreta delle generali aspettative del figlio e delle sue reali esigenze che non possono e non devono essere limitate al solo vitto e alloggio, ma devono fare riferimento anche all’acquisto di beni durevoli, come ad esempio indumenti e libri che non rientrano necessariamente nelle spese straordinarie.

Tali criteri tuttavia si coordinano con gli altri elencati nell’art. 155 c.c e precisamente con la disposizione che fa riferimento alla permanenza del figlio presso ciascun genitore, alle risorse economiche di entrambi i genitori e alla valenza economica dei compiti domestici assunti dagli stessi.

Premesso che con la legge di riforma del 2006  si è voluto garantire il diritto del minore alla bigenitoralità attraverso l’introduzione dell’affidamento condiviso quale regime ordinario di affidamento, oggi la figura del genitore affidatario ha lasciato il passo a quella del genitore “collocatario” al quale si riconosce il diritto di pretendere dal coniuge l’assegno di mantenimento a favore del figlio.

Il valore annuale dell’assegno di mantenimento dei figli.

Con la pronuncia di separazione, viene imposto al genitore non affidatario o, nell’affidamento condiviso, al genitore che non ha in carico i figli, il pagamento di un contributo economico mensile a favore del coniuge con il quale il figlio convive.

Se questo è lo spirito che anima il generale rapporto genitori figli in fase di separazione o divorzio, ci si è chiesti se il coniuge obbligato debba continuare a versare l’assegno di mantenimento anche nel periodo in cui i figli si trovano presso di lui nell’esercizio del diritto di visita, anche se in detto tempo di permanenza il genitore provveda in toto al fabbisogno della prole.

La Corte di Cassazione, con sentenza n. 9047/1994 e n. 566/2001, ha ritenuto che in questi casi occorre valutare, di volta in volta, il caso concreto per stabilire se l’assegno a carico del genitore non affidatario sia stato calcolato in funzione alle esigenze della prole riferite all’anno solare, oppure se il calcolo dello stesso sia stato effettuato in base alle esigenze mensili della prole stessa.

A parere del giudice di legittimità nel primo caso il pagamento dell’assegno non potrà essere sospeso né tantomeno diminuito, in quanto detta somma costituisce una rata mensile di un assegno annuale, determinato in funzione delle esigenze  della prole rapportate all’anno. Tale somma pertanto non potrà essere considerata mero rimborso (eventualmente pro-quota) delle spese sostenute dall’affidatario per il mantenimento della prole nel mese corrispondente.

Nel secondo caso invece si potrebbe prevedere una riduzione-sospensione dell’assegno, nei limiti ovviamente in cui il genitore, per il periodo in cui il figlio si trova presso di sè, provveda integralmente al suo mantenimento.

Resta inteso comunque che se nulla è specificato o concordato dai coniugi, l’assegno ha un valore annuale, con tutte le conseguenze del caso.

Assegno per il figlio divenuto maggiorenne che coabita con il genitore

La legge di riforma del 2006 (L. n.54/2006) ha previsto all’art. 155 quinquies c.c. la possibilità di disporre il versamento diretto dell’assegno di mantenimento a favore del figlio divenuto maggiorenne.

Tale previsione normativa stenta però ad affermarsi.

In realtà se il figlio diciottenne, come è normale, continua a vivere in casa con un genitore che provvede in tutto alle sue esigenze quotidiane, diviene concretamente ingiustificato modificare il beneficiario dell’assegno per il solo fatto della raggiunta maggiore età dello stesso.

In assenza di un accordo permane sul genitore il diritto alla riscossione iure proprio quale rimborso di quanto costantemente anticipato per conto dell’altro coniuge.

Elemento fondante è la persistenza della coabitazione, anche saltuaria, fra il figlio divenuto maggiorenne ed il genitore con il quale coabitava anche precedentemente.

Ed infatti se la presenza del figlio non è continuativa, per la necessità di assentarsi con frequenza per motivi di studio o di lavoro, ciò non fa venir meno il requisito della coabitazione, sussistendo pur sempre un collegamento stabile con l’abitazione del genitore allorché il figlio vi ritorni ogniqualvolta gli impegni glielo consentano.

In  tal modo il mantenimento di detto collegamento costituisce un sufficiente elemento per ritenere non interrotto il rapporto che lo lega alla casa nella quale era prima vissuto quotidianamente e concreta la possibilità per tale genitore di provvedere, sia pure con modalità diverse, alle sue esigenze.

L’obbligo del genitore non cessa automaticamente col raggiungimento della maggiore età del figlio, anche laddove il figlio stesso abbia raggiunto un sufficiente grado di indipendenza economica. Detto obbligo, infatti, perdura finché il genitore non promuova la procedura di modifica ex art. 710 c.p.c., dando la prova che il figlio ha raggiunto l’indipendenza economica, ovvero è stato posto nelle concrete condizioni per poter essere economicamente autosufficiente, senza averne però tratto utile profitto per sua colpa o per sua scelta.

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